Uganda, tra safari e gorilla di montagna

Siamo stati in Uganda nel mese di febbraio 2024 per un totale di 12 giorni, inclusi i voli con scalo via Istanbul. Il tour era organizzato da Viaggia con Carlo e Viaggigiovani, con la formula tour in piccolo gruppo. In totale eravamo in 11 e avevamo a disposizione due van 4×4 Toyota con tetto apribile, in modo da poter osservare agevolmente gli animali durante i safari. Il viaggio è stato soprattutto naturalistico, con la visita dei principali parchi e aree protette del Paese, ma durante i trasferimenti abbiamo potuto osservare anche lo stile di vita della gente del posto.

Il mese di febbraio è un buon periodo per andare in Uganda, perché corrisponde alla stagione secca, quando il clima tropicale dovrebbe riservare meno piogge. Come temperatura non c’è grande variabilità durante l’anno, dato che si è a cavallo dell’equatore. Il Paese si trova su un altopiano: si parte quindi da circa 1000 metri di quota fino ad arrivare ai 2700 metri di altezza massima delle montagne di Bwindi. Le temperature sono generalmente calde e umide nella parte bassa dell’altopiano, generalmente meno piovosa, senza peraltro che ci sia un caldo eccessivo, e sono più fresche nelle zone di montagna, soprattutto durante la notte, dove però non è mai veramente freddo (un pile più pesante è sufficiente per la mattina) e dove comunque di giorno è decisamente umido e più piovoso, come ci si può aspettare dove c’è la foresta pluviale.

Viaggiare in Uganda vuol dire viaggiare in un Paese con rischio malarico. La profilassi antimalarica è raccomandata, però, complice la stagione secca, noi abbiamo trovato veramente poche zanzare (anche se qualche puntura la abbiamo avuta lo stesso). Per il resto valgono le accortezze generali in questi casi: usare repellenti forti contro gli insetti (che servono anche contro la mosca tse-tse presente nella zona del Murchison Falls National Park), e indossare abiti lunghi la sera, quando il rischio è maggiore. Il pericolo è ridotto anche dormendo con le zanzariere intorno al letto, di cui erano dotate tutte le nostre sistemazioni: durante l’ora di cena passava un cameriere a disinfestare la camera e a chiudere le zanzariere a tendina sul letto. Da notare che il vaccino per la febbre gialla è invece obbligatorio per l’ingresso nel paese.

Riguardo l’abbigliamento, nelle zone più calde siamo stati tranquillamente con magliette a maniche corte e pantaloncini durante il giorno. Per le escursioni nella foresta a Kibale e Bwindi sono invece necessarie scarpe da trekking alte, pantaloni lunghi e magliette a maniche lunghe per proteggersi meglio dagli insetti. Vengono raccomandati anche calzini lunghi in modo da poterci infilare dentro i pantaloni ed evitare la risalita delle formiche africane, che potrebbero essere irritanti. In realtà noi non abbiamo avuto particolari problemi con gli insetti e le formiche nei trekking che abbiamo fatto, ma solo con il fango…

Il primo giorno siamo arrivati a Entebbe con il nostro volo la mattina molto presto. All’arrivo ci ha accolto una bufera di pioggia tropicale, nonostante la stagione secca. Per fortuna non è durata molto, e dopo esserci rifocillati iniziamo il nostro viaggio uscendo dal caos della capitale Kampala, che siamo costretti ad attraversare. Iniziamo a osservare come funziona la vita qua: si svolge tutta nelle strade, lungo le quali si trovano le bancarelle. Facciamo anche un breve sosta per comprare un po’ di frutta, le bananine, saporitissime, e l’ananas, dolcissimo, due frutti che ci accompagneranno per tutto il viaggio.

Arriviamo quindi alla nostra prima tappa, la Ziwa Rhino Sanctuary, una riserva recintata di 70 km2 dove in Uganda sono stati reintrodotti i rinoceronti bianchi dopo la loro estinzione. Lo scopo della riserva è permettere la riproduzione dei rinoceronti, sorvegliati dai guardiaparco contro i cacciatori di frodo, in vista di una possibile futura reintroduzione in natura. La riserva ha iniziato nel 2005 con 6 rinoceronti bianchi meridionali, 4 importati dal Kenya e 2 da Orlando, in Florida, e attualmente conta circa 40 esemplari. L’osservazione dei rinoceronti si svolge a piedi, scortati da un ranger che ci dà le indicazioni su dove e quanto avvicinarvi ai vari gruppi di rinoceronti. In generale, i rinoceronti bianchi sono poco aggressivi, a differenza del rinoceronte nero qui non presente; quindi è possibile avvicinarsi abbastanza senza problemi. Durante il giorno i rinoceronti non hanno una grande attività, perché altrimenti non riuscirebbero a smaltire il calore in eccesso, e generalmente sono sdraiati in terra a riposare. Oltre ai rinoceronti sono presenti nella riserva anche altri animali, dalle scimmie, alle antilopi ai facoceri in quantità, mentre tra gli uccelli abbiamo visto la gru coronata grigia (uccello nazionale dell’Uganda) e il marabù africano, uccello saprofago della famiglia delle cicogne. Anche le mucche qui sono di una razza diversa rispetto alle nostre e hanno le corna lunghissime, che vengono poi utilizzate dagli artigiani per fare moltissimi oggetti diversi.

Dopo la visita alla riserva di Ziwa, proseguiamo verso il Murchison Falls National Park. Dormiamo in un lodge storico lungo la strada, per essere pronti la mattina dopo a entrare nel parco. Impariamo subito la prima regola locale: non avere fretta in Africa. I camerieri sono tutti sorridenti e servizievoli, senza però essere appiccicosi come da altre parti, dove è evidente che fanno tutto solo per la mancia. A servire la colazione e la cena appaiono però un po’ disorganizzati e decisamente lenti, ma questa sarà una costante di tutto il viaggio, è proprio il loro modo di fare. Il cibo invece è buono, ma non troviamo niente di strano o esotico, come bistecche di selvaggina. In generale il cibo è di derivazione inglese (l’Uganda era colonia inglese fino al 1962 e si guida a sinistra), con qualche piatto indiano e ora, in alcuni locali, anche cinese. Si mangiano tante patate, una poltiglia fatta con le banane (matoke), mentre carne di pollo e capretto vanno per la maggiore ai ristoranti, oltre al pesce di lago in alcune zone.

Una cosa che ci ha colpito nel nostro viaggio finora sono le strade, che sono meglio di molte di quelle italiane. Belle larghe e perfettamente asfaltate (almeno le principali), la nostra guida dice che sono state asfaltate circa 8 anni fa, con un grande piano di ammodernamento del paese. Non è così dappertutto, ovviamente: ci sono moltissime strade secondarie nelle città o nei parchi naturali che sono sterrate e in cui occorre un mezzo fuoristrada, mentre le strade peggiori che troveremo saranno quelle per andare a Bwindi, 50 km di interminabile strada tutta sterrata e piena di buche che ci riempirà di polvere (altrimenti non ci sarebbe sembrato di essere stati in Africa).

Dopo l’ingresso nel Murchison Falls National Park incontriamo subito molti babbuini lungo la strada. Ci dirigiamo verso le cascate, che potremo osservare bene con una breve escursione a piedi. Le cascate sono quelle formate dal Nilo Vittoria, originato dall’enorme lago Vittoria su si affaccia Entebbe, che dopo essere confluito nel lago Albert sfocia nel Nilo Bianco. Il Nilo Bianco, insieme al Nilo Azzurro, formerà poi in Sudan il Nilo. Dopo un po’ di riposo, il pomeriggio verso il tramonto facciamo il nostro primo safari o game drive per avvistare un po’ di animali nel parco. Alba e tramonto sono le ore in cui gli animali sono più attivi, quindi più indicate per le osservazioni. Gli animali non mancano, a cominciare dagli elefanti, gazzelle, facoceri, bufali. A un certo punto vediamo diversi mezzi di turisti fermi, sono alla ricerca dei leoni… Ci fermiamo pure noi, e vediamo apparire una femmina in lontananza. È dotata di radiocollare, che i ranger usano per tracciarne gli spostamenti. Piano piano si avvicina, fino ad attraversare la strada e sparire poi nell’erba alta della savana. Probabilmente il resto del branco è nascosto qua vicino, ma non lo vediamo.

Il nostro lodge è subito fuori dal parco, formato da piccoli bungalow con il tetto di paglia e le finestre fatte solo con le zanzariere. Molto lussuose in quanto dotate di bagno privato e doccia all’aperto, pure con l’acqua calda, quando dobbiamo ricordarci che la maggior parte delle case qui non ha nemmeno l’acqua corrente. E lo possiamo vedere tutti i giorni, con lunghe file di persone che trasportano le immancabili taniche gialle da 20 litri e che si recano ai pozzi pubblici, spesso azionati con una pompa manuale. Probabilmente c’è stato un grande lavoro delle agenzie umanitarie e di supporto allo sviluppo dell’Africa negli ultimi 20 anni già per raggiungere questo traguardo, avere un pozzo di acqua non contaminata a una distanza accettabile dalle case. Una curiosità, che sarà una cosa ricorrente anche nei giorni seguenti: con il buio saremo scortati dagli inservienti “armati” di torce ai nostri bungalow perché gli animali del parco non hanno confini, e quindi di notte è possibile trovarsi a passeggiare tra ippopotami ed elefanti che possono essere aggressivi.

Nel parco, per preservare meglio la natura, non possono vivere le persone. I pochi abitanti sono stati fatti spostare quando le prime riserve sono state istituite dagli inglesi a inizio novecento. La sola eccezione è per le famiglie dei ranger che vivono in alcune case all’ingresso del parco, e ora per alcuni operai che si spostano nel parco durante il giorno per l’inizio delle operazioni di trivellazione a seguito della scoperta del petrolio. Il petrolio fa sempre eccezione. La mattina all’alba c’è il nostro secondo giro di safari, che inizia subito con una elefantessa con cucciolo che cerca di caricare il nostro furgoncino. Seguono numerosi bufali, antilopi, avvoltoi… A un certo punto la guida nota una cosa che noi non avremmo mai visto, un’antilope morta tra i rami di un’acacia. Deve avercela portata un leopardo, che deve essere ancora nei dintorni. Aspettiamo pazienti, finché lo avvistiamo nascosto in un cespuglio, ma sembra non avere la minima intenzione di alzarsi. Siamo però riusciti per un attimo a incrociare il suo sguardo magnetico, le orecchie diritte che ci puntano, per quanto poco abbiamo visto ci lascia la sensazione di un incontro speciale. Continuiamo il giro, e vediamo 2 giraffe con il collo “incrociato”, che poi iniziano a darsi delle testate: sono due maschi che lottano per qualche femmina. In una pozza d’acqua poi notiamo il curioso modo che adottano le giraffe per riuscire a bere.

Nel pomeriggio, infine, facciamo un giro in barca per ammirare la fauna lungo il Nilo Vittoria, fino ad avvicinarci alle cascate Murchisons. Ed ecco che vediamo subito numerosissimi gli ippopotami a gruppetti. Passano tutto il giorno in acqua per il caldo, ed escono di notte per brucare l’erba (quando li troviamo infatti tra le case). Numerosissime e affascinanti sono le specie di uccelli, dal martin pescatore bianco e nero all’aquila pescatrice all’airone golia e numerosi altri. Sulla riva vediamo anche bufali, elefanti e i grossi coccodrilli del Nilo.

Il giorno successivo è soprattutto una giornata di viaggio per arrivare a Kibale. In realtà non è per niente noioso, in quanto possiamo osservare lungo la strada come si svolge la vita delle comunità locali, con molte persone vestite a festa, dato che è domenica. Facciamo anche una sosta in un villaggio lungo la strada, probabilmente uno dei più semplici e poveri, ma le persone e i bambini sono felicissimi e ci accolgono tutti con un grande sorriso. Portiamo in regalo penne e pennarelli ai bambini, qualcuno del nostro gruppo ha anche delle magliette. È incredibile per noi vedere il loro stile di vita semplice, eppure tanta felicità. Ogni casa ha il suo campo, la terra, rossa e molto fertile, è la ricchezza di queste persone. Come vedremo anche nei giorni successivi, sono soprattutto le donne, magari con dei bambini piccoli legati sulla schiena, a coltivare i campi; patate e tapioca sono i principali alimenti di sussistenza insieme alle banane. Proseguiamo il viaggio e vediamo la vita che si svolge tutta lungo la strada, da chi va a fare il bucato, a chi vestito a festa va in chiesa, chi trasporta canne da zucchero e legname. Spesso vicino a ogni villaggio c’è un pozzo azionato con una pompa a mano, e ci sono i bambini che giocano pompando l’acqua che poi viene raccolta nelle grandi taniche gialle dagli adulti. Lungo la strada spiccano anche numerosi edifici nuovi e ben tenuti, generalmente sono scuole, con accanto un cartello dell’ente o dell’organizzazione che ha finanziato la sua realizzazione, oppure chiese con spesso una scuola accanto. Probabilmente sono l’unica speranza per i bambini di questi villaggi di avere un’istruzione di base, visto che sicuramente non potrebbero permettersi di andare altrove. Nelle cittadine un po’ più grandi vediamo i negozi e gli artigiani che espongono la loro merce in strada, fabbri con i loro cancelli, molti falegnami con letti matrimoniali esposti (siamo rimasti sorpresi da questo, la guida ci ha detto che chi riesce a mettere da parte po’ di soldi come prima cosa si compra un letto per la casa). Sono buffi i negozi di vestiti, con i manichini in strada che hanno proporzioni diverse rispetto ai nostri. Molte anche le motociclette che circolano, probabilmente di fabbricazione indiana, la maggior parte stracariche di persone o di merci (abbiamo visto trasportare anche un letto su una motocicletta). Vediamo abbastanza di frequente trasportare caschi di banane e ananas, sia con le motociclette che in bicicletta, le persone le portano ai mercati in città dove saranno rivendute anche all’estero. Nelle città ci sono anche gruppetti di persone in motocicletta ferme a bordo strada, ci spiegano che aspettano clienti per trasportarli come mototaxi ed è il loro modo di arrotondare. Infatti, sono quasi inesistenti i servizi di trasporto pubblico, però ci viene detto che esiste una grande solidarietà tra gli abitanti dei villaggi: si trova sempre aiuto e qualcuno con una motocicletta porterà chi ha bisogno in un ospedale o una clinica medica, che possono essere anche abbastanza lontani.

Dopo un po’ il paesaggio cambia, si fa più montano, meno secco, aumentano le coltivazioni di banane, qua e là anche cespugli di caffè, poi ci sono distese di siepi tutte ordinate: sono campi di tè. Arriviamo al nostro lodge, ai margini della foresta di Kibale.

La mattina dopo andremo al ritrovo con i ranger per il nostro primo trekking nella foresta alla ricerca degli scimpanzé. Ci dividono in gruppi, un po’ numerosi a dire il vero, con la guida in testa e due ranger a chiudere il gruppo, tutti armati di Kalashnikov. Ci dicono sia necessario perché nella foresta vivono anche gli elefanti, che potrebbero essere aggressivi. In realtà non li vedremo nemmeno da lontano, mentre invece vediamo numerose scimmie bianche e nere. Bellissimi poi gli alberi enormi che ogni tanto incontriamo, ci dicono che hanno qualche centinaio di anni e sono alti anche 70 o 80 metri. Dopo un’ora di cammino sentiamo dei versi, poi iniziano a cadere dei frutti dagli alberi, guardiamo in alto e avvistiamo i primi scimpanzé che mangiano tranquillamente i frutti di una varietà di ficus. Non è facile inquadrarli con la macchina fotografica, spesso c’è sempre qualche ramo o qualche foglia che li nasconde, e la luce non è certo facile da gestire tra i rami della foresta. A un certo punto un maschio scende a terra, vuole controllare probabilmente il suo territorio, poi risale veloce su un albero facendo la pipi quasi in testa a qualcuno di noi. Riusciamo a vedere anche una femmina con i piccoli, e altri esemplari intenti a mangiare. Gli scimpanzé sono prevalentemente vegetariani e mangiano i frutti degli alberi, ma sporadicamente non disdegnano la carne e possono cacciare altre specie di scimmie più piccole. A un certo punto vediamo uno scimpanzé che sta riposando in un letto di foglie sopra un incrocio di rami, la guida dice che di solito realizzano il loro letto così per riposare la notte. Sarà passata un’ora e mezza, è arrivato anche un altro gruppo, la situazione incomincia ad essere affollata e il nostro tempo è finito, è ora di tornare indietro e uscire dalla foresta.

Oggi è una giornata impegnativa, ci attende ancora qualche ora di viaggio verso il Queen Elizabeth National Park, attraversando anche l’equatore, e poi subito un primo safari pomeridiano. Il Queen Elizabeth ha la particolarità di essere l’unico parco abitato, con diversi villaggi al suo interno, per cui sulle sue strade sterrate vedremo passare anche alcune auto dei locali cariche all’infinito e con non so quante persone a bordo, nonché le solite motociclette. Chiaramente questo crea dei problemi di convivenza con la fauna selvatica, dalla caccia di frodo alla selvaggina, fino ad alcuni casi negli anni passati di avvelenamento di una famiglia di leoni perché aveva predato delle capre. Iniziamo subito con un avvistamento molto interessante: tra i rami di un cactus si intravede un leopardo. È seminascosto, le zampe e la coda ciondoloni, la bocca semiaperta. Un po’ ci guarda, un po’ si fa beatamente i fatti suoi. Anche questo incontro è stato veramente affascinante. Continuiamo il nostro game drive, e avvistiamo un elefante enorme, poi i soliti bufali, i kob dell’Uganda (gazzelle), uccelli vari. Verso il tramonto vediamo un bufalo ucciso e non troppo lontano c’è un ranger, ha un’antenna che serve a localizzare i radiocollari dei leoni. Un branco di leoni ha ucciso quel bufalo ed è nascosto nella savana qua vicino, ma per questa sera non si mostrerà. Andiamo nel nostro lodge, le camere sono delle capanne veramente enormi, sparpagliate nella savana subito fuori dal parco. Anche qui dobbiamo essere accompagnati in camera una volta che è buio, e di notte sentiamo chiaramente gli elefanti passeggiare vicino. La mattina invece avvistiamo un’antilope e un ippopotamo che bruca nel prato della camera accanto giusto mentre andiamo a fare colazione.

Iniziamo un nuovo game drive, e siamo subito molto fortunati. Tra l’erba alta, in lontananza, appare un leone maestoso. Inizia a spostarsi, e il nostro autista cerca di prevederne le mosse spostandosi più avanti. Si parcheggia proprio nel posto giusto, i leoni sono 4, 3 maschi e 1 femmina, pare siano tutti fratelli, e si dirigono proprio dove siamo noi. Arrivano anche altri fuoristrada di turisti, ma i leoni devono essere proprio a pancia piena, probabilmente hanno appena mangiato un bufalo e si sdraiano in mezzo alla strada ansimando per la digestione difficoltosa, incuranti della nostra presenza, sembra anzi che vogliano farsi vedere. Stanno lì una mezz’ora, il tempo di scattare svariate decine di foto, poi hanno deciso che è tempo di alzarsi e sparire di nuovo nella savana. Abbiamo tempo per continuare il nostro giro e vedere i branchi di kob dell’Uganda, un maschio con il suo harem di femmine, il lago con le saline, e poi rimanere bloccati in una buca con il nostro 4×4 e dover scendere a spingere… Succede anche questo in Africa.

Nel pomeriggio abbiamo in programma la navigazione del Kazinga Channel, un canale naturale lungo 32 km che collega i laghi Edward e George. Anche qui sono numerosissimi gli ippopotami in acqua, ma anche gli elefanti danno il loro spettacolo sulla riva. Una famiglia con un piccolo fa il bagno, poi esce dall’acqua e si cosparge di terra per proteggere la pelle dal sole e dai parassiti. Numerosissimi e bellissimi anche gli uccelli, con il martin pescatore e l’aquila pescatrice in primis, ma anche cormorani, colibrì e pellicani.

Ci aspetta un altro giorno di viaggio verso le montagne e la foresta di Bwindi. Oltrepassiamo la Rift Valley, che vediamo dall’alto, attraversiamo diversi villaggi e cittadine e ci fermiamo in un mercato dove vendono frutta e pollame tra le altre cose. Dopo un po’ riprendiamo il viaggio e cambia il paesaggio, si fa più collinare e montagnoso, ci sono diversi laghi. Di nuovo campi di tè e tantissime coltivazioni di banane. La strada asfaltata finisce, ci attendono 50 km di strada sterrata tutta buche tra villaggi sperduti per raggiungere Bwindi. Siamo sballottati nel nostro van, lo chiamano african massage, ma alla fine siamo coperti di polvere. Il paesaggio è molto affascinante, qui ancora di più vediamo come ognuno coltiva il suo pezzetto di terra, ma non possiamo fare a meno di pensare che in un passato non troppo lontano questa doveva essere tutta foresta tropicale che è stata tagliata per coltivare la terra, per la sopravvivenza di questa povera gente, a scapito però della sopravvivenza dei gorilla di montagna. Ora la foresta è protetta, da una decina di anni la deforestazione si è arrestata qui in Uganda e grazie ai soldi del turismo il governo sta anche cercando di ricomprare dei terreni da riforestare. I gorilla di montagna, una volta sull’orlo dell’estinzione, si sono ripresi e sono aumentati nuovamente di numero. Esistono due popolazioni separate di gorilla, per un totale di circa 1400 individui, suddivise tra Uganda, Ruanda e Congo.

La mattina ci rechiamo al nostro incontro con i ranger, ci divideranno in gruppi di 8 persone, e ogni gruppo potrà seguire una famiglia diversa di gorilla. Le famiglie di gorilla sono costituite dal maschio dominante, il cosiddetto silverback, perché ha la schiena con il pelo bianco, e varie femmine e piccoli. Alcuni ranger, i cosiddetti trackers, li seguono fino a sera per vedere dove dormono, poi li ritrovano la mattina dopo nella stessa area. In questo modo le famiglie di gorilla sono già localizzate e i ranger sanno dove portare i gruppi di turisti. Ci sono una decina di famiglie nel parco della foresta di Bwindi, ma solo alcune sono abituate alla presenza dei ranger e dei turisti, le altre sono ancora in un processo di abituamento. In linea di principio, non si sa quanto sarà necessario camminare nella foresta, dipende da dove si sono spostati i gorilla. Noi abbiamo dovuto riprendere il nostro mezzo 4×4 e percorrere una strada dissestata e in salita per arrivare al punto di partenza del trekking. Tra l’altro, a un certo punto, quando mancavano ancora un paio di chilometri, il nostro mezzo ci ha lasciati a piedi a causa del surriscaldamento del motore. Fatti gli ultimi chilometri a piedi e riuniti al resto del gruppo, siamo pronti a inoltrarci nella foresta impenetrabile di Bwindi. Seguiamo un sentiero fangoso che si apre tra la fitta vegetazione. Gli alberi qui sono più piccoli, ma ci sono moltissime liane e vegetazione che riempie tutto il suolo. Il sentiero è pieno di impronte e fatte di elefanti, i ranger con AK-47 sono all’erta, la guida ci spiega che questo sentiero viene aperto dal passaggio abituale degli elefanti di foresta, che fortunatamente non incontriamo. Sono la stessa specie di elefante che vive nella savana, ma ormai è una popolazione separata a causa della deforestazione e dei campi coltivati che hanno separato l’habitat della foresta dalla savana. Dopo più di un’ora di cammino, cercando di schivare le pozze di fango più profonde, il ranger ci dice che siamo vicini ai gorilla e ora dobbiamo entrare nel fitto della foresta. Il sentiero è stato già parzialmente aperto a colpi di machete, ma camminiamo su strati di vegetazione. A un certo punto ci siamo. Lasciamo gli zaini e dobbiamo coprirci il viso con dei foulard o delle mascherine, precauzione adottata da quando c’è stato il Covid, in quanto i gorilla potrebbero essere suscettibili alle malattie umane. Facciamo qualche passo ed ecco il primo gorilla, seduto tranquillo tra le piante, intento a mangiare le foglie. Capiamo subito che mangiare le foglie è l’attività principale della giornata dei gorilla, che sono esclusivamente vegetariani. La guida ci fa cenno di scendere, dal fitto della vegetazione escono un piccolo e una femmina che ci passano accanto. Scendiamo un altro po’ ed ecco il maschio dominante intento a mangiare, siamo a pochi metri di distanza. Facciamo delle foto e poi il maschio lancia un urlo contro di noi e ci mostra i denti, sembra si sia un po’ arrabbiato per la nostra presenza. È enorme e fa paura, la guida ci dice di non temere e, soprattutto, non arretrare, perché questo potrebbe essere visto come segno di debolezza e il gorilla potrebbe attaccare. Il maschio si è spostato un po’ indietro nel fitto delle foglie, la guida apre la vegetazione con il machete e ci fa avvicinare di nuovo, in un piccolo inseguimento. Una femmina passa tra di noi e con una manata sulla gamba a uno di noi si apre il cammino, come a dire: “fatemi largo che devo passare”. Il maschio invece è seduto, con la sua pancia enorme a mangiare tra nuvole di moscerini innocui che si frappongono fra noi e lui. C’è una femmina sdraiata lì vicino, a un certo punto pure lui si sdraia e dorme, incurante della nostra presenza. Notiamo allora i numerosi piccoli di gorilla che si arrampicano intorno e giocano tra di loro sugli alberi. Alcuni a un certo punto si scaccolano il naso, altri si spulciano il pelo a vicenda, altri si rincorrono e giocano. Un’ora passa in fretta, non ce ne siamo nemmeno accorti, intenti come siamo a scattare foto, e i ranger ci dicono che è ora di tornare indietro, altrimenti i gorilla saranno troppo infastiditi dalla nostra presenza. Ci sarebbe piaciuto avere ancora un altro po’ di tempo, ma le nostre aspettative sono state rispettate in pieno, anche meglio, i gorilla erano davvero vicini e numerosi, e non abbiamo avuto problemi a osservarli. Ci aspetta quindi un’ora e mezza di cammino nella vegetazione e nel fango, mentre nuvoloni neri minacciano pioggia, che per fortuna trattengono fino al nostro arrivo. Del resto qui siamo in una foresta pluviale ed è normale che piova tutti i giorni.

Ci aspettano ancora i 50 km di strada sterrata e african massage prima di tornare sulla strada asfaltata, poi ci dirigiamo per la notte verso il lago Bunyonyi. Durante il viaggio ancora scene di vita quotidiana e lavoro nei campi. Una cosa ci ha però colpiti in modo particolare: una cava di pietra dove decine di persone frantumavano con delle mazze le pietre, una scena di altri tempi, come in un immenso girone dantesco. Un’altra cosa particolare che avevamo visto nei giorni prima, senza fotografarla però, era un gruppo di detenuti, vestiti tutti uguali con delle tute gialle, ai lavori forzati lungo la strada, sorvegliati da guardie armate. Passiamo la notte con la vista del lago Bunyonyi sotto di noi, con le sue innumerevoli isole collinari.

Siamo di nuovo in strada diretti al Lake Mburo National Park, ultima location per i nostri safari. Il viaggio per me è sempre uno spettacolo, con le bancarelle di frutta coloratissime e i vari negozi lungo la strada. Il Lake Mburo National Park è il parco nazionale più piccolo dell’Uganda, ed è l’unico in cui ci sono anche zebre e impala, non presenti negli altri parchi ugandesi. Ci sono anche dei carnivori, leopardi e iene, ma credo che siano abbastanza rari e non li abbiamo visti. Inoltre, alle persone dei villaggi è permesso entrare nel parco per tagliare della legna in quantità limitate, e sembra quindi che non ci siano grandi problemi di predatori, visto come girano tranquilli. Nel parco, oltre alle già citate zebre, sempre belle con le loro strisce, ci sono varie specie di antilopi, bufali, e tantissime giraffe. Nel nostro game drive al tramonto a un certo punto ci siamo fermati a osservarle: ce n’erano diverse intente a mangiare le foglie più alte delle acacie. Poi si è avvicinato a noi un gruppo, diverse femmine con i piccoli. Poi un maschio, dal mantello a macchie più scure che seguiva un femmina. A un certo punto eravamo circondati dalle giraffe, che con il loro buffo incedere facevano frusciare i cespugli tutto intorno a noi. All’interno del parco è presente anche un camping in riva al lago, dove eravamo letteralmente circondati dai facoceri. La mattina dopo abbiamo fatto un altro game drive, e abbiamo potuto vedere, cosa abbastanza rara, due giraffe sedute in terra a riposarsi, cosa che fanno solo quando sono tranquille e non ci sono predatori nelle vicinanze. Numerosissimi anche qui gli uccelli, complici le varie pozze d’acqua, dove vivono numerosi esemplari di uccelli acquatici.

La nostra esperienza in Uganda è giunta al termine, ci attende solo l’ultimo trasferimento verso Entebbe transitando lungo il lago Vittoria. Qui ci sono numerosi banchini lungo la strada che vendono il pesce di lago essiccato, e anche alcuni campi di riso gestiti da aziende cinesi. Prima di arrivare a Entebbe attraversiamo per la seconda volta l’equatore: questa volta è situato in un posto diventato turistico, dove ci sono numerosi ristoranti e negozi di souvenir che sono nati intorno a un punto di sosta dei turisti.

È il momento di ripensare alla nostra esperienza. L’Uganda è stato sicuramente un viaggio prevalentemente naturalistico. Probabilmente i parchi nella savana ugandese non offrono la quantità di animali presenti nei parchi della Tanzania e del Sudafrica (per esempio qui non ci sono gli gnu), forse anche a causa delle ripetute uccisioni di animali avvenute durante la convulsa storia del Paese, per esempio durante la sanguinosa dittatura di Idi Amin Dada negli anni ’70, ma non per questo non siamo riusciti ad apprezzare la varietà e la bellezza della fauna locale. La presenza di numerosi laghi, fiumi e zone umide aumenta la varietà dei paesaggi e delle specie di animali presenti, e la quantità e varietà di uccelli presenti è incredibile. Ippopotami e bufali erano presenti in quantità, i leoni non sono mancati, con il loro fascino di predatori, e il leopardo pure con il suo sguardo felino si è fatto intravedere. Per me il punto di forza dell’Uganda è la varietà dei paesaggi; oltre a tutto questo, c’è la parte collinare e montuosa che offre un ambiente totalmente diverso. In poche ora vi ritroverete dalla savana alla foresta pluviale, affascinante con i suoi alberi immensi, la ricca vegetazione e le numerose specie di scimmie che vi abitano, tra cui gli scimpanzé. Infine, i gorilla di montagna, così simili a noi per certi aspetti, che è possibile vedere solo qui, in Congo e Ruanda.

L’altro aspetto che ci ha colpito di questo viaggio sono le persone. Anzi, queste da sole meriterebbero un viaggio. Al di là della parte fotografica, immortalare le scene di vita quotidiana, i mercati, i vestiti colorati e bellissimi che indossano, ci ha colpito il sorriso di tutti. Siamo sempre stati accolti con un grande sorriso e felicità anche da chi ha solo l’indispensabile per vivere e poco più. La popolazione dell’Uganda è giovanissima, i bambini sono tantissimi nelle scuole, e ovunque si giri è difficilissimo vedere persone anziane. Certo, l’aspettativa di vita non è lunghissima, soprattutto in passato le precarie condizioni sanitarie, la malaria e le guerre hanno fatto tantissimi morti. La speranza è che ora, grazie a una situazione politica un po’ più stabile e all’aiuto delle organizzazioni umanitarie, almeno qui la situazione sia migliorata. Però lascia un segno nel cuore vedere tutta questa gioia, viene voglia di poter fare qualcosa di più per aiutarli, di non essere solo un turista di passaggio. Certo, anche questo serve all’economia locale, si creano lavoro e nuove figure professionali, sia per chi si occupa delle strutture alberghiere e dei ristoranti, dei negozi, ma anche per i guardiaparco. Tutto questo aiuta a far passare l’idea che gli animali e i parchi naturali siano una risorsa economica che attira turisti e quindi da difendere, non solo risorse da sfruttare per il proprio tornaconto. Purtroppo, la storia tra le risorse naturali e l’uomo è sempre la stessa. L’enorme crescita demografica dell’Uganda negli ultimi 50 o 70 anni ha sicuramente messo sotto pressione le risorse naturali, qui la terra è a ricchezza delle persone, e ognuno ha bisogno del suo campo da coltivare per sopravvivere, però vediamo anche come questo in passato abbia portato a una enorme deforestazione per fare spazio alle coltivazioni. La speranza è che si creino anche nuovi lavori e un nuovo modo di creare valore, senza distruggere l’ambiente. Certo, è un equilibrio difficile, non abbiamo il diritto di distruggere o modificare radicalmente il loro modo di vivere a volte semplice ma felice, però la speranza è che questo porti a un miglioramento delle loro condizioni di vita insieme a una maggiore consapevolezza nella gestione delle risorse naturali. Forse un’utopia, ma almeno una speranza.